Sono molti i ricordi che mi legano a Evgheni Polyakov, un uomo colto, brillante, arguto, intelligente, sensibile ma, soprattutto, un uomo di ampie vedute moderne.
Ho apprezzato le sue qualità umane prima ancora della sua arte, e queste qualità si riflettevano inevitabilmente nella sua attività d’insegnante e di coreografo. Polyakov proveniva da una grande scuola di balletto, quella russa, ma a differenza della maggior parte dei suoi colleghi con la stessa formazione, era disposto a metterla in discussione ed accettare anche tutto ciò che di buono arrivava dalle altre tradizioni accademiche, come quella francese, quella americana o gli insegnamenti e le innovazioni di Stanley Williams. E il risultato di queste contaminazioni era visibile nelle sue lezioni, che ricordo bellissime, e nelle sue coreografie.
Io ho interpretato una sua indimenticabile Giselle nel 1978 alla Fenice di Venezia, in coppia con Nureyev; avevo già ballato parecchie volte con Rudolf, ma quella era la nostra prima esibizione insieme in Italia, un evento che aveva creato aspettative e che speravo andasse nel migliore dei modi. Il fatto che ci fosse Polyakov a dirigerci, di cui sia io che Nureyev avevamo grandissima considerazione, contribuì senza dubbio alla riuscita dello spettacolo.
Polyakov ha avuto nei miei confronti sempre un bellissimo atteggiamento: era premuroso, affettuoso, rassicurante; quando creò per me e Patrick Dupond il suo Schiaccianoci, al Maggio Musicale Fiorentino, mi capitò anche di frequentarlo al di fuori del teatro, conservo ancora un maglione coloratissimo che sia lui che Patrick mi fecero comprare durante uno dei nostri giri per la città.
È stato un personaggio molto importante per la danza italiana, ha ispirato e guidato numerosi danzatori, e ha sperimentato, insegnandoci che la danza è sempre in continua evoluzione.
Io lo ricordo con tanto affetto e tanta tanta stima.
Elisabetta Terabust